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  1. Hi everybody. As I said I publish here a little story of mine in Italian language. If there is any problem about language rules (eg. It must be published only stories in English language) I will remove it immediately. Thanks! I. A volte succede che al centro della vita di ognuno non succeda di trovarci più niente, che importi più di finire il solito trantran quotidiano e aspettare di tornare a letto e ripartire per il lavoro il giorno dopo. I saluti per strada non vengono colti o sono un piccolo fastidio di tutti i giorni, e che si passino le giornate a scansare la gente. Che non fosse il caso di continuare così lo sapeva benissimo, ma era dopo la fine della storia con Luca, quando aveva deciso di spostarsi, che le cose erano peggiorate. In un posto nuovo, una città dove a parte il lavoro non c’è molto e lo stipendio finisce tutto nell’appartamento dell’hinterland e, per le emergenze, l’auto, non è facile uscire da tutta la confusione. Che poi lo sapeva perfettamente Michele che alla fine l’unica cosa da fare era prendersi del tempo per sé. Ma la palestra non sembrava fare al caso suo: c’era tornato dopo tanti anni, i risultati non erano granché arrivati. Fisico magro, media statura, qualche pelo bianco nella barba un po’ rada e i capelli non più folti come una volta: una persona comune, tra i tanti profili che scorrono su Tinder. «Un’altra giornata buttata, alla fine. Pazienza» pensava mentre saliva in metro verso casa, dopo un altro appuntamento forse andato a vuoto. L’altro ragazzo era sembrato abbastanza gentile, ma anche distaccato. Lo aveva guardato un po’ con sufficienza a un certo punto. Michele aveva lasciato un po’ perdere la palestra ultimamente e sapeva che si notava bene la cosa e che avrebbe dovuto forse cambiare qualche vestito. Non era mai stato troppo sicuro di sé, ma adesso stava facendosi tutto molto più complicato. «Non sono un gran figo o un palestrato, e così sarebbe molto più semplice, ma non è andata così, che ci devo fare? Dai, alla fine ci penso troppo» era stata l’ultima cosa che aveva realizzato prima di andare a letto. § La mattina si era alzato con un po’ di malessere. Non gli sembrava di aver bevuto così tanto la sera prima. Più che mal di testa, un dolore generale alle articolazioni. «Eh, ho una vita troppo sedentaria». Aveva fatto colazione, si era infilato i vestiti di fretta ed era corso al lavoro. Tutto sommato la giornata era corsa abbastanza veloce rispetto al solito, anche se aveva continuato a sentire qualche piccola fitta alla schiena, alle gambe, qualche prurito, qualche fastidio in generale. Alla sera si era iniziato a lavare: certo, a trent’anni uno il proprio corpo lo conosce bene, ma alla fine può succedere di trovare qualche sorpresa. Qualche centimetro di girovita era scomparso. Michele pensò subito che doveva essere stato per via del suo impegno, stavolta mantenuto, di mangiare un po’ meglio. «Forse è la volta buona che mi rimetto anche a fare sport». E così era uscito per una corsetta. Il passo reggeva il ritmo, forse, anzi, riusciva a correre in modo un po’ più sostenuto di quello che pensava e programmava. Aveva sciolto i muscoli con tranquillità, con un po’ di stretching prima di tornare a casa, darsi una sciacquata e rimettersi a letto. «Tutto un discorso di motivazione: se ci metto e mi concentro, mi riprendo». E intanto, sotto le coperte, la mano scivolava lungo il suo petto e toccava il cavallo dei pantaloni. Scherzava, ridacchiava: «Ahah, che cazzata, però pensa che figo che sarebbe se fossi un palestrato». Accarezzava lentamente il suo cazzo che, anche se non voleva ammetterselo, si ingrossava all’idea di quella fantasia. § Michele si alzò con una notevole erezione, quella mattina. Se ne accorgeva a pisciare e pensava che gli sembrava più turgido e duro del solito. «Stronzate». Si era cacciato di nuovo a lavorare, ma stavolta con l’idea di tornarsene a casa per la corsetta che voleva fosse la sua abitudine serale. E mentre correva ripensava a come, quando era al liceo, facesse molto più sport e più atletica, che era un ragazzo normale, come tanti, ma che si piaceva molto di più, che in spogliatoio non guardava con disagio a quelli che erano più grossi: tanto prima o poi li avrebbe raggiunti. «Ma alla fine, se tengo duro, magari ce la faccio». La corsa era finita ed era soddisfatto. Saliva in appartamento con l’odore buono e salato del sudore, contento di sentire che si era sfogato e si era impegnato. La bilancia, implacabile, doveva decretare quanto fosse fuori forma. Invece qualcosa di imprevisto lo aveva immediatamente scosso. § Michele, come da carta d’identità, era alto 1,77. La bilancia pesava 79 kg. «Non posso aver perso due chili in due giorni». Ma il suo fisico parlava per lui, che era ammutolito. Lungo il petto la superficie della sua pelle bianca, pallida e solcata da un po’ di peluria, non scendeva più fino alla vita con tutta quella ciccia che aveva iniziato a fargli schifo. Il girovita sembrava restringersi, come ai vecchi tempi del liceo: d’altra parte lui era abbastanza fortunato, pensava: era una questione genetica e sapeva di avere la vita sottile. Il primo spessore degli addominali, leggeri e appena abbozzati, iniziava a intravedersi nel riflesso dello specchio. Qualcosa non quadrava in generale e, preso da uno scrupolo insolito, aveva rovesciato il cassetto delle cose vecchie lasciate dal padrone di casa per tirare fuori un metro da sarta. Anche il metro sembrava confermare una impressione che gli era saltata in testa così, di punto in bianca. Di statura sembrava misurare 1,80. «Ma dai, è assolutamente impossibile. Sarà la stanchezza o sono pazzo. La gente non cambia così di botto». § Finalmente sabato. Aveva un gran programma per quel sabato: tornare in palestra. Alla fine c’era sempre quella vecchia promozione valida, la prima entrata sarebbe stata gratis. Si era alzato presto, era motivato, si sentiva pieno di energia. Michele non sembrava neanche più riconoscersi in sé stesso per questa improvvisa sensazione di ottimismo e di fiducia. E non sembrava neanche più l’uomo allo specchio. Si era rasato il giorno prima, ma la barba, anche se appena appena, spuntava già sul suo viso. Più che altro, il pelo sembrava distribuito più uniformemente e sembrava più scuro del solito. Li toccava con la mano, poteva sentire che coprivano meglio la superficie del suo viso. Le occhiaie erano sparite, anche qualche ruga precoce. Ma quello che lo aveva stupito di più erano state due altre cose. La più evidente gonfiava i suoi pantaloni quella mattina. Toccò il suo uccello duro e turgido: non era possibile ma gli sembrava più grande del solito. La tentazione di farlo era forte: e infatti cedette al desiderio di controllare la lunghezza e lo spessore. «Cristo, non lo facevo da quando avevo quindici anni». Invece dei soliti 15 cm, poco più o poco meno, c’era qualcosa di nuovo: 16 cm abbondanti, 16,4 per la precisione. «Sono pazzo, sto impazzendo», pensava strusciandosi la faccia e gli occhi coi pugni mentre osservava come, un po’ alla volta, si contraessero le fibre muscolari del suo avambraccio. Il suo corpo non era più il suo corpo, ma quello di un atleta, di un maratoneta, di qualcuno che avesse preso sul serio l’atletica: altro che la corsetta della sera. E, soprattutto, il metro da sarta non aveva mentito neanche quella volta, o almeno gli aveva confermato l’impressione che aveva avuto. La carta d’identità sbagliava di brutto, ormai: 183 cm. § La giornata in palestra era stata memorabile. Michele non aveva trascurato nessun gruppo muscolare. L’entusiasmo, la passione, la curiosità, lo avevano spinto a una lunga sessione: prima le braccia, il petto, gli addominali, lo squat per i glutei e le gambe. Era molto soddisfatto, mentre si avviava allo spogliatoio per lavarsi pensava a come più di qualche sguardo si fosse concentrato sul suo corpo che stava crescendo e cambiando. Era curioso di vedere dove sarebbe potuto arrivare. «Forse sono pazzo o è una cazzata ma sta davvero succedendo qualcosa e devo approfittarne il più possibile finché dura». Era corso a casa stremato, i muscoli indolenziti e una gran fame. Era crollato a letto. Però era contento: «Stiamo mettendo su massa, sta andando tutto bene». La notte aveva fatto un sogno prevedibile: ormai la sua unica fissazione era diventata prendersi cura del suo corpo e così aveva sognato di trovarsi nudo, muscoloso e gigantesco su una spiaggia, ammirato e venerato: l’atmosfera era confusa, le immagini sbiadite ma quella notte gli sembrava in qualche modo di rivedersi nel ragazzo della spiaggia, nei tratti del suo viso. § La mattina seguente si era alzato tutto contento di poter tornare ancora in palestra ma, suo malgrado, si era accorto che era cambiato tutto un’altra volta. Il suo fisico si era fatto più grosso e sodo: le spalle erano larghe come quelle di un nuotatore, i pettorali sporgevano di qualche centimetro, gli addominali erano ormai chiaramente evidenti, così come le braccia, i bicipiti e le gambe. Si era sempre lamentato del suo culo, piatto e secco, ma il suo sedere sembrava non essere più così basso. Le scarpe e i vestiti non erano più della sua misura e si era dovuto arrangiare alla bell’e meglio per andare da Zara e trovare qualcosa da mettersi. D’altra parte, diceva il suo ormai fidato amico, il metro, era alto 1,89 e sembrava che sarebbe ancora cresciuto. Ma c’era anche qualcos’altro che gli sembrava essere diverso. Era sempre stato molto rigido nei movimenti, gli sembrava di riuscire a sciogliersi più facilmente: pensava che però la flessibilità si può allenare e recuperare anche abbastanza in fretta con una regolare attività fisica. Quello che lo faceva un po’ mettere in dubbio era il suono della sua voce che sembrava abbassarsi, diventare più profonda, potente, maschile. Ormai aveva dato per acclarato che la sua barba stava rapidamente crescendo più nera, setosa e folta: non intravvedeva un millimetro di pelle, follicolo dopo follicolo sembrava tutto crescere e fiorire per esaltare la mascolinità e la virilità del suo viso. Anche i capelli stavano cambiando decisamente colore, diventando di un nero corvino. Eppure, altrove nel suo corpo, notava come la peluria diradasse e tutto sembrasse portare a una pelle liscia, glabra, setosa e stranamente di un colorito più scuro, abbronzato. § Aveva accettato di scambiare il numero dopo due chiacchiere con quel tizio rosso di capelli. Un gran bel fisico: gambe sottili, forse, ma un bel culo e sei addominali duri come il marmo. Erano finiti un po’ a caso a casa sua: le intenzioni erano chiare e il gioco era a carte scoperte ma Michele quella volta non aveva dovuto fare nessuno sforzo di seduzione. Il ragazzo era stato un docile schiavetto fin dal primo momento: aveva cominciato a baciarlo ossessivamente in viso mentre quasi gli strappava i vestiti dal petto, poi aveva iniziato a leccare i suoi pettorali larghi e generosi, indugiando sui larghi capezzoli sporgenti. Michele mai aveva provato così tanto piacere a farseli mordicchiare e succhiare, mentre il suo schiavo scendeva lentamente, avvinghiato alle sue spalle possenti e maschie. Aveva continuato a baciarlo e a contare gli addominali con la lingua. «Sei, sette… otto». Ma come otto? Cosa stava succedendo? Perché? Ma non importava. Michele era tutto perso nel narcisismo di vedersi riflesso nello specchio dell’armadio con quel ragazzo che, era sicuro, non l’avrebbe cagato di striscio qualche giorno prima, succhiare avidamente ogni centimetro della sua pelle e poi massaggiargli dolcemente la larga e vastissima schiena sudata. Si era aggrappato alle sue natiche forti e rotonde e aveva proseguito ingoiando con avidità il suo grande uccello e leccando le grosse palle. Michele ci aveva dato dentro, mentre il ragazzo sembrava impazzire di gioia. «Mi fai male, piano!» ma le sue grida soffocate venivano ignorate da quell’uomo possente e muscoloso che torreggiava sull’altra figura mentre spingeva con violenza la testa del suo amante contro la sua larga dote. Michele non aveva mai durato così tanto prima di venire. Il ragazzo aveva già sborrato in gran quantità, ma quando toccò a lui gettò un ruggito disumano. La casa sembrava tremare con quell’urlo selvaggio. Con violenza e forza a lui sconosciute la sua sborra esplose nella bocca del ragazzo che ormai era in seria difficoltà: sembrava eiaculasse per minuti, tanta era l’eccitazione. Non aveva mai provato un piacere così grande in tutta la sua vita, nessuno dei due. La serata era finita con lo schiavetto dolce e remissivo che lo massaggiava nella doccia, prostrandosi come un servo davanti al padrone per baciare i suoi piedi forti e grandi. § Quel giorno a lavoro era stato tutto molto strano. I colleghi, di fatto le uniche persone che vedeva spesso, erano abbastanza sconcertati e avevano chiesto varie cose. I più, però, avevano nicchiato o fatto finta di niente. A Michele non importava più niente, anche di farsi vedere così cambiato. Alla fine aveva deciso che era inutile e aveva chiesto tre giorni di ferie al capo. L’uomo, forse, era stato intimorito anche dalla superiore statura dell’uomo e dall’indole, che era come cambiata in un colpo. Michele era uscito già verso l’ora di pranzo e si era di nuovo cacciato in palestra. Pensava che quasi non ritrovava più se stesso non solo nell’immagine e nella figura che gli passava davanti agli occhi, ma anche nel suo atteggiamento. Era aggressivo, sicuro, menefreghista. Gli piaceva questa nuova personalità. Ma era cambiato davvero tutto: per esempio il suo viso. Riconosceva i suoi tratti soliti e abituali ma sembravano avere qualcosa di diverso: gli zigomi erano più alti e evidenti, anche se nascosto dalla barba, si intuiva il profilo della sua mascella squadrata. In qualche modo gli suggeriva sia un’impressione di virilità che di eleganza e di grazia. Non ci aveva mai fatto caso, ma qualcosa nella sua mente ora lo spingeva a pensare che essere maschio e forte volesse dire non essere solo quella bestia che stava diventando, ma anche di fare un’impressione più sottile, più dominante, già solo dall’aspetto. Non gli sarebbero servite minacce o preghiere. Il suo sguardo fermo e il suo corpo gigantesco avrebbero fatto da soli il proprio lavoro: fare paura e sedurre al tempo stesso. Non voleva saperne di prendere misure di alcun tipo, era corso in palestra quel pomeriggio, per restarci il più possibile. Non voleva focalizzarsi su altro. Si era fatto mandare da un sito online dei vestiti di diverse misure, progressivamente sempre più grandi, non voleva restare nudo. Certo, non che gli sarebbe dispiaciuto: il senso del pudore sembrava svanito e si compiaceva della sua ritrovata mascolinità e del suo nuovo esibizionismo. §§ II. Qualcosa si era spezzato. Dopo i primi giorni di entusiasmo e di frenesia, ancora una volta era stato colpito da un’apatia e da una profonda irrequietezza che non aveva conosciuto. Era una bestia di 1,94, si misurava continuamente ma la sua improvvisa crescita si era bloccata. Pesava 98 kg, anche se era in una fase di bulk: ormai da un mese e mezzo le cose non sembravano cambiare. Si era fatto visitare da andrologi, endocrinologi, specialisti di ogni tipo, su pressione dei colleghi e dei suoi capi. D’altra parte, pensava, era un altro modo di rosicchiare ore di permesso e passare il tempo in palestra. Ma tutto era improvvisamente apparso come fermo e immobile. Michele amava il suo nuovo corpo, e le grandi possibilità che intravvedeva dietro la sua aumentata massa muscolare, la sua statura, i tratti del suo volto che erano leggermente cambiati, la sua voce tonante e profonda, il suo nuovo atteggiamento che evidenziava consapevolezza e autorevolezza. Si spingeva ad osare qualche battuta e qualche presa in giro che prima non si sarebbe azzardato a fare, poteva permettersi libertà che prima non avrebbe riservato a sé stesso. L’entusiasmo dei primi giorni aveva ceduto il passo a uno stato di eccitazione e di vera e propria ansia. Era come se ormai le sue aspettative fossero cambiate tutte a un tratto e si portassero a tutto un altro livello. Non era più quel ragazzo qualsiasi, normale, della porta accanto, ma un maschio alfa dominante che trasmetteva al primo impatto una sensazione di potenza e di rispetto. Le prime serate dopo la sua vera e propria trasformazione erano state fenomenali. Non aveva mai avuto così tanta sicurezza, non si era mai ritrovato così tanto d’accordo con l’idea che il sesso che aveva fatto quelle volte fosse tutto un gioco: ed era stato il miglior sesso della sua vita. Tutto sembrava essere diventato molto semplice. § Ma un giorno si era reso conto che in realtà quello che aveva non era che un assaggio di quanto avrebbe potuto avere, e dopo tutto, non aveva. La frustrazione si era fatta strada in modo sottile, insinuante e sotterraneo e Michele aveva cercato di nascondersi che avrebbe voluto essere più di quello che era. Poi tentennava e ammetteva a sé stesso che doveva già sentirsi un miracolato per quella cosa inspiegabile che era successa. Però il pensiero tornava a battere sempre sullo stesso punto. Se ne era accorto nelle ultime volte, a letto con qualcuno dei suoi nuovi e frequenti amanti. Il viavai non lo soddisfaceva più e si sentiva sempre più imperfetto, per ironia della sorte, proprio nel momento in cui forse non poteva avere di più dalla propria vita. Eppure quella fissazione si era sempre fatta costante e all’euforia iniziale, dopo i primi momenti di eccitazione per le nuove abitudini e piccole attenzioni che aveva dovuto dedicare alla sua nuova statura e allo spazio che i suo muscoli necessitavano in vestiti più larghi e in movimenti più controllati. La sua imponente presenza lo costringeva a un nuovo modo di vivere. E se all’inizio aveva trovato tutto questo una novità conturbante che solleticava la sua libido più nascosta, che fino ad allora aveva sottovalutato, come il suo desiderio di sentirsi superiore agli altri anche in un modo animalistico e primitivo, col passare del tempo era diventata la banale quotidianità. Aveva iniziato anche a perdere colpi a letto e a sentirsi qualche volta in imbarazzo. Era incazzato con sé stesso per questa situazione che lo stava scoraggiando e sfibrando. Com’era possibile sentirsi privati di qualcosa proprio nel momento migliore della propria vita dopo un dono della fortuna così inatteso e prezioso? § Michele ormai non usciva quasi più se non per lavorare e trascinarsi in palestra, nella remota speranza che si ripetesse il miracolo e di getto si stagliasse davanti a lui di nuovo quel riflesso che desiderava ormai giorno e notte, di vedersi ancora più grosso e più grande. Ma i progressi erano tornati a essere quelli di una persona comune, seguendo i lenti ritmi della natura e il cerchio sembrava essersi così chiuso. Michele sapeva di sentirsi ingrato ma questo non lo aiutava e credeva che sarebbe stato inutile parlarne, perché nessuno avrebbe potuto capire come ci si potesse sentire frustrati e abbattuti dopo quello che gli era successo. L’ossessione di crescere e la sensazione di stare fallendo lo stavano ormai lentamente consumando. Aveva iniziato a disertare anche la palestra, prima in modo intermittente, poi in modo sempre più continuato. Misurazioni, statistiche, programmi, schede, tutto era fallito. Anche la costanza e l’attenzione all’alimentazione. Stava scivolando in uno stato di depressione e di preoccupante ansia. Quel sentimento di estraneità rispetto il resto della città, quel nodo alla gola che lo aveva preso quando si era appena trasferito, solo, lontano da tutta la sua rete di amicizie e di conoscenze, l’aveva ripreso nella sua morsa. § Era stato in una giornata grigia e uguale alle tante che ormai vedeva davanti a sé che aveva preso la decisione di provare a tornare in palestra. Vedeva concretamente i segni del suo declino e deperimento: il tono muscolare sembrava iniziare a vedersi meno, iniziava nuovamente ad ingrassare, il viso si solcava ancora di occhiaie e borse, che rivelavano la sua stanchezza. Non aveva in mente niente di eccezionale per quella giornata, giusto quel minimo di esercizio per provare a fare qualcosa. E in effetti non successe niente di memorabile, dopotutto i risultati dei carichi e le ripetizioni che era riuscito a sostenere erano forse anche più deludenti dell’inizio. Alla fine aveva ricevuto qualche saluto dai suoi compagni di palestra che l’avevano riconosciuto e gli chiedevano che fine avesse fatto. Avevano notato la condizione non proprio eccellente, ma erano stati abbastanza garbati senza farglielo notare o insistere. D’altra parte, lo sapeva benissimo, non potevano non essersene accorti. Quella cortesia e quell’accortezza lo toccavano e lo ferivano, Michele era un leone ferito che soffriva, quella persona fragile che pensava di non essere più. Non voleva più trasmetterla quella impressione ma era inutile, la stava palesando a tutti. Comunque, quella sera le cose sarebbero cambiate definitivamente. § «Ehi Michele, scusa se mi permetto, ti ho visto prima, di là. Tutto bene?» «Ciao, figurati. Insomma, un periodo di merda» «Ah ok, mi dispiace… Eh era tanto che non ti vedevamo mi sa» «Mi rendo conto, ho abbastanza lasciato andare, poi la motivazione è andata a puttane» «Immagino, comunque hai pensato a, boh… cercare un aiuto, qualcosa» «In che senso un aiuto?» «Lascia fare, ti do una mano, poi per carità… Resti tra noi, in caso vedi tu cosa fare». § Pensava che procurarsi «la roba» fosse molto più difficile, ma alla fine era una questione di contatti. Fino ad allora le proposte le aveva avute ma al momento non ci aveva voluto pensare. Tutti dicevano che fosse una novità, eccezionale, mai vista prima, risultati pressoché istantanei. Che bisogno ne aveva lui che aveva guadagnato decine di chili di muscoli in pochi giorni? Lui che era un prodigio, un miracolo della natura, di queste robe? Ma alla fine quella sera era tornato sui suoi passi. La cosa doveva restare discreta e quel tizio dello spogliatoio con cui non aveva mai scambiato molto altro che due parole, alla fine, la sapeva lunga. Gli aveva passato il contatto del suo uomo di fiducia. Faceva il buttafuori in un locale. Alla fine si immaginava questo tipo di passaggi come una cosa losca da organizzare in quartieri degradati, con gente incappucciata e passaggi di denaro sottobanco. In realtà niente del genere. Il tizio della «roba» era stato molto cordiale al telefono e l’aveva invitato a passare a lavoro poco prima dell’apertura. Una stretta di mano, qualche spiegazione su come usare «la roba» e niente altro, dopo un saluto. Certo, lui doveva conoscerla bene, «la roba». Era un armadio: più basso di Michele ma molto, molto più grosso. Le spalle larghissime, il collo gigantesco e le gambe che i pantaloni non riuscivano a nascondere. E anche lui non poteva celare la sua invidia. Comunque, aveva preso quello che gli spettava, sistemato i conti, ed era tornato a casa. Niente di combinato in modo strano, losco, segreto: tutto sommato la cosa era avvenuta alla luce del sole. Insomma, non gliene fregava niente a nessuno. Chissà perché, questo lo aveva rassicurato. Gli sembrava più giusto e normale. § Certo, era pur sempre un’iniezione intramuscolare, mica una cosa da niente, quindi bisognava fare attenzione. Ma l’idea che gli effetti potessero rimetterlo a posto e migliorare la sua condizione e, con questa, anche il suo umore, lo eccitava. Si passò una mano sul pacco e lo strizzò vigorosamente. «Se non va con questa…». Aveva preparato attentamente la sua dose e si era sistemato bene. Prima di iniziare si era preso qualche minuto di pausa per non pensare a nient’altro e stemperare quel pochino di tensione che aveva addosso e andare a colpo sicuro con la siringa. Un gran respiro e via. Non aveva mai avuto paura degli aghi e questo l’aveva aiutato, aveva premuto con la forza necessaria, ma tutto sommato anche con delicatezza. Iniziò a premere lo stantuffo e a spingere piano e con dolcezza. Rimosse con cautela e iniziò a premere con un batuffolo di cotone. Aveva digrignato i denti sentendo la pressione del liquido, cosa che gli aveva sempre dato qualche brivido e fastidio. Per il resto, tutto regolare. Ormai era tardi, avrebbe aspettato un pochino prima di andare a letto. Si era sistemato sul terrazzo. Quella sera, in quel brutto angolo della città, dove i condomini stipavano la gente alla fine della periferia, poteva comunque sembrare bella: c’era un leggero vento che scompigliava i suoi capelli neri e giocava con la sua barba, mentre il cielo sembrava molto terso. Il tempo di fumare una sigaretta, pensava, e poi sarebbe tornato dentro. Ormai era quasi alle porte l’inverno, pensava giocherellando con la manica del pile. Sorrideva e pensava come, nonostante tutto, potesse essere contento di quello che aveva. Anche se quel pensiero fisso, di poter crescere ancora, sembrava tornare alla carica. Michele non ci voleva pensare. § A distrarlo da tutto c’aveva pensato la sua testa. Un’improvvisa fitta alle tempie, un capogiro. Tutto era nero e non vedeva più. Un momento di panico nel blackout generale e si era sentito svenire e cadere. Era riuscito ad aggrapparsi alla ringhiera. Cosa cazzo stava succedendo? §§ III. Il pavimento era freddo e duro e lo sentiva lo stesso, anche se era mezzo intontito e riverso al suolo. Lentamente iniziava a riaversi e riprendere conoscenza. Le immagini, un pochino, sembravano farsi più nitide: sopra la sua testa c’era il cielo stellato di quella notte di fine autunno. «Dai, adesso mi rialzo, piano…». Aveva provato lentamente ad appoggiarsi sulle mani per alzare un po’ la schiena, inarcandola leggermente, e rimettersi in piedi. «Quella merda mi ha fatto male, cazzo». Ma non aveva fatto in tempo a finire di bisbigliare la sua maledizione a quegli stronzi che gli avevano venduto uno sconosciuto pacchetto di steroidi e a sé stesso, che lo aveva pure pagato caro, che improvvisamente si era sentito mancare un’altra volta. Si era aggrappato alle inferriate della ringhiera una seconda volta per non spaccarsi la faccia sul pavimento e respirava affannosamente. «Mi sta venendo un infarto, cazzo.» Il formicolio era risalito lentamente dal braccio fino al suo cuore: era convinto che a momenti avrebbe smesso di battere e l’avrebbero trovato così, morto riverso in terrazza. Ma le cose erano andate anche peggio. Negli anni successivi avrebbe provato a spiegarsi per dare almeno un’immagine di cos’era stata quella istantanea e lacerante sofferenza che aveva pervaso tutte le sue ossa e ogni fibra dei suoi tendini in un solo colpo. Un dolore inenarrabile, semplicemente. Come se di un tratto si spaccassero tutti i tratti del suo scheletro. Aveva cacciato un urlo mostruoso e si era sentito definitivamente perduto. Aveva echeggiato per tutta la strada. Qualcuno aveva probabilmente sentito quel casino, pensava, e gli era sembrato di intendere lo scricchiolio di qualche finestra e qualche porta. A un tratto però, si era come riavuto, respirando con fatica. Si sentiva annegare da dentro, ma la sensazione era durata poco per fortuna. Alla bell’e meglio si era rimesso in piedi, laboriosamente e con grande sforzo, si era aggrappato al corrimano ed era riuscito a spingere la porta-finestra, praticamente trascinandosi in casa, fino al grande specchio del corridoio. Aveva un’espressione stralunata e stravolta, si sentiva male come mai in vita sua e cercava di afferrare il telefono nelle tasche della tuta per chiedere aiuto. La mano aveva appena raggiunto il cellulare che questo era subito caduto dal suo palmo. Il tremore si era fermato, per fortuna. Sembrava un momento di calma apparente. Poi di nuovo quel dolore terribile, anche se tutto era durato un istante, e tutto era sembrato confinato dal cavallo dei pantaloni in giù… Michele semplicemente non poteva crederci o si sentiva molto confuso, cercando di spalleggiarsi al muro. Le scarpe da ginnastica che teneva in casa gli erano improvvisamente più strette e fastidiose: non capiva cosa succedeva, faticava a tenere i piedi fermi e in poco tempo perse il baricentro e cadde a terra. La scarpa sembrava contorcersi e strizzarsi: ma forse non era la calzatura che si muoveva. La caviglia sembrava ingrossarsi, poi fu finalmente chiaro tutto. I suoi piedi iniziavano ad espandersi e crescere: il fastidioso dolore che sentiva era lo stesso, accelerato, che aveva provato nei giorni della sua improvvisa e miracolosa trasformazione nella fase della crescita e della pubertà. Crescevano e diventavano sempre più grandi e più larghi, più lunghi, robusti e maschi, degni di un uomo della sua potenza e virilità. Non fermavano di crescere e slanciarsi, diventando sempre più possenti e intimidatori. Michele non ci aveva mai pensato ma lo realizzava adesso, di capire quanto trovava belli, sexy e mostruosamente minacciosi quei piedi inumanamente grandi e sproporzionati al resto del corpo, capaci di dargli una stabilità e una fermezza che non aveva mai sentito. Calpestava con soddisfazione quello che restava dei brandelli dei calzini e delle scarpe. Si guardava allo specchio, mentre improvvisamente sentì un tremore all’altezza del polpaccio: gli arti inferiori iniziavano lentamente e poi sempre più velocemente a svilupparsi ed estendersi in lunghezza. I suoi pantaloni venivano tirati e stirati verso l’alto, mentre le sue gambe lo portavano a vette fino ad allora mai raggiunte. Soffriva, ma l’eccitazione di quella trasformazione lo stava anestetizzando dal dolore fisico che lo aveva fin prima sconvolto… Le sue gambe lunghissime e tornite come colonne di alabastro, ma che sembravano adesso così sottili e leggere in confronto a prima, lo proiettavano come un’immagine sottile e allungata nello specchio. Era così disarmonico: ma non fece in tempo ad accorgersi che anche il suo busto iniziava ad estendersi e stirarsi. Era il momento più doloroso di tutto il processo ma faticava a emettere un solo suono di dolore perché il suo petto, i suoi polmoni, il suo cuore, tutto il suo organismo si stavano velocemente espandendo. Pile e maglietta sembravano sostenere a fatica i ritmi della sua crescita, mentre Michele ammirava i nuovi pinnacoli di mascolinità e di bellezza che stava toccando. Era il turno delle sue braccia, che iniziarono ad allungarsi a dismisura lungo le maniche della felpa: i polsi erano distantissimi dagli orli. Tutta la sua massa muscolare si era distribuita su tutta la superficie espansa e aumentata del suo corpo e il tono muscolare sembrava essersi drasticamente ridotto. Ma si era sicuramente ridotto qualcosa, osservava compiaciuto guardando il suo girovita che, se ne accorgeva cingendolo con le mani, era diventato più sottile e longilineo. Infine, aveva sentito qualcosa succedergli in bocca. La sensazione era terribile. Michele si era immediatamente portato le mani ai denti, sembrava glieli stessero strappando tutti. Tutto si era dilatato e spalmato lungo il resto del viso. Qualche secondo che sembrava un’eternità, poi era riuscito, tra le lacrime, a riprendere fiato e guardarsi di nuovo nello specchio. Michele non era più lui. O meglio, qualcosa rimaneva dei suoi vecchi tratti. Ma l’uomo allo specchio che si intravvedeva nel riflesso, aveva qualcosa di totalmente diverso. § La fronte perfetta era incorniciata da una capigliatura foltissima e corvina: i suoi capelli emanavano riflessi lucenti e contornavano splendidamente l’ovale del viso raccolto in una forma simmetrica, insieme elegante e maestosa. Ogni elemento di quel volto sprigionava il suo essere maschio e la sua bellezza rarissima e struggente: le sopracciglia meravigliosamente arcuate, spesse ma non esageratamente pesanti, che facevano risaltare la bellezza dei suoi occhi castani scurissimi, grandi e spalancati in un’espressione di stupore e di consapevole autocompiacimenti. Le ciglia nere, lunghissime e sensuali, sembravano quasi come fossero un leggero tratto di matita, sottolineare lo splendore del suo sguardo animalesco e virile. Il naso, leggermente irregolare e aquilino, esprimeva tutta la sua possanza del suo profilo maschio, robusto, che non aveva lati delicati, ma solo perfetta armonia tra i suoi tratti duri e marcati inquadrati in un insieme incantevole e dolcemente minaccioso. Sorrideva leggermente, con un ghigno colmo di lussuria e desiderio, arcuando le labbra carnose perfettamente circondate dai suoi baffi lunghissimi e neri come la notte. Erano voluminosi, setosi e maschi come la sua lunga barba corvina: univano al fascino dell’estrema virilità una consistenza estremamente piacevole al tatto, una liscezza e una morbidità che conferivano alla sua immagine animalesca e belluina anche un’intrigante sensazione di sofisticatezza ed eleganza. Sotto lo spessore della barba poteva indovinare una mascella squadratissima e angolosa. «Cazzo ma questo sono io». L’ammirazione per il suo viso celestiale e aggressivo insieme scomparve di fronte alla percezione che aveva della sua stessa voce, del passo più puro e profondo che si fosse mai udito. E non era solo l’estensione ad essersi abbassata di più di un’ottava, ma anche gli stessi colori e le nuances della sua voce, che si arricchiva di sfumature, raschi rauchi e sexy, di una risata diabolicamente echeggiante e di una potenza vocale che non avrebbe mai immaginato. Rideva, rideva di cuore sentendo il riverbero mostruoso e annichilente del suono della propria voce, mentre il suo sorriso innaturalmente bianco e la dentatura armoniosissima si rispecchiava brillando alla luce tenue del corridoio. § Poi venne un’altra di quelle strane fitte che lo avevano perseguitato tutta la sera. Ormai però le guardava con simpatia e complice fiducia perché sapeva avrebbero fatto qualcosa di benefico per lui e il suo corpo. Il suo avambraccio sembrava tremare e involontari spasmi iniziavano a fare vibrare tutte le fibre del suo corpo, dalla cinta in su. La felpa iniziava a stargli stretta e troppo compatta, cercò di disfarsene e di spogliarsi ma prima che potesse avvicinare le sue lunghe dita, i suoi trapezi iniziarono a pulsare sempre più insistentemente, come si flettessero da soli, accumulando a ogni colpo sempre più massa e compattezza. Michele tastava il suo collo che si ingrossava sempre di più cercando di seguire nello specchio quello che non riusciva a capire ma il suo sguardo era fisso nel vuoto, ammirato com’era del fenomeno prodigioso che si stava ripetendo su di lui. Il collo era taurino e sproporzionato rispetto al resto del corpo ma le spalle ci misero poco a riprendersi: in uno strattone inconsulto e inspiegabile, il tessuto della maglietta e della felpa ricevettero un colpo durissimo. La cerniera della felpa si stracciò in un solo istante e cadde ai suoi piedi giganteschi. Il deltoide iniziava a gonfiarsi e a diventare sempre più voluminoso e torreggiante sulle sue spalle larghissime. La maglietta si strappò come fosse carta velina sul lato dietro, ma Michele non fece in tempo a voltarsi che lungo la sua schiena lunghissima, proporzionata alla sua stazza gigantesca, i dorsali e il dentato esplosero con un crescendo di potenza. Due colonne larghissime e mostruosamente sviluppate di puro muscolo ora innervavano di una forza titanica quella che poteva essere non più la schiena di un uomo ma di un toro, forse, per le dimensioni e le curve assurdamente pronunciate che la sua mano sentiva al tatto lungo quella superficie sterminata e infinita. La maglietta si sfilacciava e slabbrava definitivamente, aprendosi in un lungo squarcio. Non aveva fatto in tempo a compiacersi che dal suo deltoide ipertrofico la sensazione di formicolio tanto sperata si era progressivamente spostata al suo bicipite. Iniziava a lievitare prima dolcemente, poi sempre più con convinzione e rapidità. «Cazzo, sono Schwarzenegger, sono un dio!» tuonava la sua voce ferina e inumana. Il braccio era gigantesco, pulsava tutto circondato da vene spesse e larghe come una delle sue dita, di dimensioni ben superiori a quelle di una persona normale, e pompavano il sangue che aiutava le sue fibre a nutrirsi e crescere senza fine. Si stava perdendo nell’estasi della contemplazione di quello spettacolo impagabile, pensava che non esisteva uomo al mondo con dei bicipiti e dei tricipiti così densi, che irradiavano potere in modo tremendo e minaccioso, così vascolari e machi, quando si accorse che l’ondata di calore che fluttuava nel suo petto stava concretizzandosi in un’altra sorprendente evoluzione. I suoi muscoli pettorali sembravano popolarsi di fibre sempre più minuziosamente separate e visibili a occhio nudo. Michele grugniva con approvazione e lussuria, contraendoli freneticamente, mentre a ogni rilascio sprigionavano sempre più forza e impressionante grandezza. Lo provava a toccare con le sue mani muscolosissime e possenti, mentre raggiungevano il loro stadio finale ma doveva arrestarsi a constatare come pure i suoi grandi palmi e le lunghe dita non riuscissero ad avvolgere completamente lo spessore sterminato dei suoi pettorali. Provava a sostenerne il peso mostruoso con le sue braccia, ma si accorgeva come il suo petto fosse semplicemente irraggiungibile. I suoi capezzoli erano inturgiditi e puntavano vistosamente verso il basso, spinti dalla muraglia di carne spessa almeno un palmo della sua mano. Li toccava gustandosi tutta la nuova sensibilità che avevano acquisito, sprimacciandoseli e strizzandoli. Rideva e grugniva: quegli strattoni che poteva riservare ai suoi pettorali sovrumani avrebbero strappato lembi di carne dal petto di qualsiasi uomo ma la sua natura superiore lo rendeva immune alla forza erculea dei suoi bicipiti colossali. Ormai ridotta a un cencio striminzito, la tshirt cadde di dosso. Immaginava cosa lo avrebbe aspettato adesso: la mole squadrata e perfetta degli otto blocchi degli addominali che lentamente si gonfiavano e si espandevano. Li poteva tastare e toccare con gusto e divertimento, sentendo come fossero duri e spigolosi come diamanti. Ma mentre si perdeva a contemplare la sua tartaruga eccezionale, i suoi pantaloni esplosero sul di dietro. I suoi glutei iniziarono ad arrotondarsi sempre di più. Li toccava e li impastava con le sue mani, sentendo come fossero ormai diventati due blocchi di acciaio che, appena li tendeva, si disponevano seguendo il disegno delle mille striature che li componevano. Appoggiatosi a terra, si accorse come il suo culo gigantesco e maschio facesse svettare il suo bacino e lo tenesse, anche da seduto, in una posizione molto elevata, tanto era il suo volume. Era come se dietro la sua carne, che provocava con schiaffi potentissimi che avrebbero steso chiunque, si nascondessero due globi, due veri mappamondi di marmo, ma ricoperti dalla sua pelle liscissima e perfetta. E poi furono i suoi quadricipiti e i suoi polpacci ad avere la meglio: i pantaloni si stracciarono lungo la scriminatura della coscia, mentre la separazione dei fasci muscolari dava il colpo di grazia alla tenuta del tessuto e alle sue mutande, già ormai distrutte dall’esplosione dei suoi glutei erculei. Si ammirava con uno sguardo goloso, notando come il solco delle sue natiche straordinarie prolungasse innaturalmente i muscoli della pelvi anche al di sopra dei suoi quadricipiti ormai raccolti attorno a un fusto così duro e largo da incutere terrore in chiunque guardasse quelle gambe straordinarie, apollinee e al tempo stesso che esplodevano in potere e larghezza. Larghe gocce di sudore solcavano anche la superficie arcuata e tornitissima dei suoi polpacci sterminatamente infiniti. Michele guardò allo specchio e sorrise ancora una volta. La trasformazione, pensava, non era ancora finita. § Il suo cazzo era eretto ma sembrava ridicolmente piccolo di fronte a quel ben di Dio mostruoso che era diventato il suo corpo. Lo accarezzava mentre iniziava a sentire, a tratti, dei flussi di sangue o di non sapeva cosa, inondare e ingolfare, come in una risacca, tutta la sua verga. Il suo scroto iniziava lentamente a pendere e a gonfiarsi: sembrava non rispettare più le leggi di gravità perché i suoi testicoli larghi come noci di cocco, erano duri e sodi come i suoi muscoli. Certo, pensava, anche la sua pelvi doveva essere muscolosa e possente per sostenere l’attrezzo di smodate dimensioni che ben presto avrebbe completato il suo corpo da sogno. E forse, avrebbe avuto più forza lui nel suo uccello che molti bodybuilder nel loro corpo. L’asta iniziò prima a stirarsi ed allungarsi mentre l’accarezzava dolcemente con le mani, poi a gonfiarsi, dalla base progressivamente fino alla cappella. Tutto si induriva, si inturgidiva e si confermava della stessa forza dell’acciaio ma sotto il caldo e suadente tocco della carne di un uomo possente. Il cazzo risaliva e risaliva, finché passò l’ombelico. Un ghigno animalesco si stampò sul suo viso. La trasformazione era completa. § Era la personificazione della forza e del potere. Aveva faticato per misurarsi, gettando in pieno scompiglio la casa. Aveva provato a sedersi ma il divano era crollato sotto il peso dei suoi muscoli mai visti. Avrebbe scoperto con fatica di essere alto ormai 2 metri e 25: roba da fare invidia ai più alti giocatori dell’NBA, pensava tra sé e sé. Non poteva misurare il suo peso ma notava con soddisfazione che non una fascia di grasso era depositata sul suo corpo: era probabilmente al di sotto del 4% della percentuale, come un’atleta di Mr. Olympia pronto a competere: solo qualche giorno dopo una bilancia industriale avrebbe rivelato la meravigliosa cifra di 195 kg. Statistiche del genere le aveva toccate nella storia della disciplina qualche mito del calibro di Lou Ferrigno. 67 centimetri di bicipite lo incoronavano al di sopra dei sogni di chiunque avesse mai ardito competere, così come i 59 centimetri dei suoi polpacci mostruosi che terminavano nei suoi piedi inumani, di numero 55, e i 90 dei suoi quadricipiti animaleschi. Tutto contornava il suo girovita assolutamente strettissimo, largo come uno dei suoi quadricipiti che, così raddoppiando, davano la misura del vero e proprio triangolo sinuoso e imponente che era costituito dal suo petto e dalle sue spalle grottescamente larghe, che si estendevano con tanta larghezza da dare la vaga impressione di poter pareggiare la sua statura. Ma il suo principale orgoglio era quel petto rigogliosissimo e che si protendeva talmente all’esterno da rendergli quasi difficile la vista del resto del suo corpo: da punto a punto, contava ben 175 centimetri. E poi c’era il suo cazzo smisurato, al quale non poteva dare dimensioni o descriverlo, tanto era robusto e massiccio, più di mezzo metro, ben 56 centimetri di splendore per una circonferenza abnorme, di oltre 25 centimetri. Era un cannone bestiale e capace di eruttare sborra come mai avrebbe potuto credere. Michele si contemplò ancora una volta allo specchio. L’ultimo passaggio del suo cambiamento aveva ulteriormente lisciato la sua pelle, che ora era ovunque morbida, uniforme, piacevole al tatto come fosse velluto o damasco della più preziosa qualità: non un’ombra di imperfezione su quella carne setosa e invitante, non una smagliatura, una cicatrice, un minimo segno, tanto da sembrare artificiale in ogni angolo del suo corpo. Non un pelo al di sotto della sua barba rigogliosissima e maschia: neppure nel buco del suo culo, profondo e lontanissimo dalla superficie dei suoi glutei. Sorrideva al pensiero di chi mai avrebbe potuto meritarsi il premio del suo buco così oscuro e difficile da raggiungere, passando per quei muscoli tremendi e titanici capaci di sopportare la pressione di squat inimmaginabili. Ma era tutta la sua struttura fisica ad essere cambiata. Si sarebbe accorto col tempo di come la sua anatomia, semplicemente, non fosse più umana. Lungi dall’essere impedito nei suoi movimenti, il suo corpo poteva prodursi, pur con tutta la sua massa, in scatti felini e mosse di rara flessibilità: erano le sue ossa e i suoi tendini ad essere stati trasformati e modificati in modi lontanissimi dal canone del normale corpo umano. Tutto questo gli sarebbe tornato immensamente utile nel sesso che avrebbe fatto, un’esperienza gratificante e totalizzante per tutti i suoi partner. Però era il momento di cambiare la propria vita e iniziare a mostrarsi al mondo. Michele si voltò verso la finestra. Guardò con divertimento: era rimasta aperta. Qualcuno doveva aver sentito tutto il rumore che aveva fatto e qualche sagoma appariva dalle finestre per cercare di capire. Forse avevano intravisto la sua silhouette mostruosa. Michele era un gigantesco apollo mediterraneo, dai tratti marcati e sensuali, la carnagione abbronzatissima e liscia come la pelle di un bambina: era ora che tutti lo ammirassero. Uscì in terrazzo. Sapeva i curiosi sarebbero arrivati. Uscendo, dovette muoversi con cautela per non distruggere il telaio dell’infisso, ma rimase sorpreso dalla destrezza con cui compì la mossa, perché le sue scapole muovevano chili e chili di muscoli con una mobilità impressionante. Avrebbe impersonato la potenza e la grazia, la virilità e l’eleganza col suo corpo impossibile. Era un’utopia fatta carne. Si sedette sui suoi glutei possenti e iniziò a fare stretching e divertirsi a espandere i suoi muscoli in scioltezza in tutte le dimensioni. Le gambe chilometriche sfondarono semplicemente il ferro della ringhiera, quando i piedi abnormi toccarono, deformandole, le sbarrette, mentre Michele con la sola presa delle dita le strappava in un mazzo di cinque o più alla volta. Il ragazzo timido era definitivamente morto. Urlò: «guardate il vostro nuovo dio!» mentre iniziava a sfruttare i vantaggi della sua inaudita flessibilità e succhiava il suo enorme cazzo cui imprimeva movimenti e mosse ardite e sinuosissime: altro dono della sua trasformazione era quella nuova coordinazione neuromuscolare che gli consentiva di controllare totalmente ogni fibra del suo corpo. Nessuno avrebbe mai potuto fare guizzare e controllare così deliziosamente ogni singolo muscolo, esaltandone le forme. La sua forza si mescolava a quel tocco di inusuale fascino che emanava: non era solo brutalità e violenza, ma qualcosa di più sottile. I curiosi, poi futuri adepti, non dissero di no all’invito del nuovo signore che li chiamava. Quel titano muscolosissimo e straordinariamente dotato che si succhiava l’uccello chilometrico su un terrazzo della periferia era destinato a finire in più di un video, in più di una foto, diventando improvvisamente popolarissimo. E mentre una piccola folla si assiepava a godere il privilegio di assistere a quella scena di incredibile sensualità, scopriva che ne poteva trarre piacere non solo dalla vista, ma anche dall’odore acre, intenso e maschio, animalesco, che i fiotti potentissimi di sborra, a una pressione inimmaginabile, spandevano nell’aria. Fiumi di sperma che inondavano la bocca del gigante. Le stille cadevano lungo tutta la parete e la facciata della palazzina. La folla si assiepava. Gli effetti benefici di quel testosterone rappreso in sovrumana quantità nel suo sperma non sarebbe sfuggito ai suoi adoratori, mentre, prima che sotto il peso della sua massa straordinaria, cedesse il pavimento, Michele si ritirò, convinto di aver dato abbastanza prova della sua nuova virilità e di avviare così una nuova vita. Il dio ebbe l’impressione e poi la certezza di essere l’unico degno, sulla faccia della terra, di potersi chiamare Uomo.
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